Norma Cossetto, foibe e fiction. A proposito di un saggio di Guido Rumici.

Nicoletta Bourbaki
6 min readFeb 5, 2019

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Nota a margine delle recensioni di Foibe Rosse di Frediano Sessi e del film Red Land / Rosso Istria su Giap.

Frediano Sessi in Foibe rosse (2007, p. 58) definiva Guido Rumici «un giovane ricercatore di area progressista». Non si capisce da cosa deducesse questa presunta estrazione politica, Rumici è membro del comitato provinciale di Gorizia dell’A.N.V.G.D. (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) e in questa veste ha fatto da consulente storico (assieme a Marino Micich) per il film Red Land / Rosso Istria stando a quanto dichiarato dal produttore Alessandro Centenaro [viene spesso appellato come prof. Rumici, ma non è uno storico accademico bensì un insegnante di economia aziendale].

Il suo saggio Infoibati (1943-1945). I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti pubblicato da Mursia nel 2002 è inserito nella magra bibliografia di Foibe rosse. Già nella ricostruzione dell’invasione italiana della Jugoslavia all’inizio del volume si deduce un’impostazione ben poco “progressista”. Viene infatti adottato pedissequamente il punto di vista di Salvatore Loi dell’Ufficio storico dell’esercito italiano. Lo storico Eric Gobetti nel suo saggio Alleati del nemico (Laterza, 2013, p. 41) qualifica Loi come un agente segreto dell’esercito italiano infiltrato fra i četnici serbi per sabotare gli ustaše croati (ufficialmente alleati ma rivali dell’italia fascista nei Balcani), un mandato a cui egli pare abbia aderito intimamente. Infatti nella sua ricostruzione storica Loi, e per derivazione anche Rumici, tratteggia i četnici come i soli resistenti legittimi e leali in contrapposizione agli infidi e sanguinari partigiani di Tito, pur essendo stati riconosciuti dagli osservatori Alleati come truppe collaborazioniste (Gobetti, p. 142) dedite perlopiù alla pulizia etnica ai danni soprattutto della popolazione musulmana (Gobetti, p. 124). Ma il Loi aderiva anche alle stesse premesse ideologiche nazi-fasciste all’invasione della Jugoslavia, come si desume da degli incisi che Rumici riporta integralmente in Infoibati, facendoli suoi (p. 14)

Dopo la fine della campagna contro la Francia, Paese legato alla Jugoslavia da un patto di amicizia sin dal gennaio 1927, ed il relativo armistizio, Mussolini rivolse la sua attenzione verso Est, «anche perché da alcuni documenti riservati caduti in mano dei tedeschi emergeva che Belgrado, Atene e Parigi avevano predisposto una azione comune contro l’Italia» (cit. Salvatore Loi, Le operazioni delle unità italiane in Jugoslavia 1941-1943, Stato Maggiore dell’Esercito — Ufficio Storico, Roma 1978, p. 32)

Insomma per Loi (e di conseguenza per Rumici) l’invasione della Jugoslavia fu difensiva, un po’ come dire che sì, la Germania aveva invaso la Polonia, ma avevano incominciato i polacchi a Gleiwitz come da informazioni raccolte dai tedeschi. Più avanti (p. 25) Rumici porta ad argomento anche l’opinione di Loi sulle terribili rappresaglie naziste (che nei Balcani lo stesso Rumici ammetteva raggiungere rapporti di 50/100 fucilazioni per ogni tedesco ucciso):

Secondo il Loi, in un conflitto le rappresaglie rappresentano il contrapposto speculare di precedenti azioni criminose dell’avversario, e per tale motivo vengono giustificate dalle leggi di guerra e dagli accordi internazionali, perché attuate nei limiti convenzionali

Senza entrare nel merito di cosa significa giustificare azioni ritenute crimini di guerra dai tribunali internazionali (non si sa a quali accordi internazionali si riferiva Loi, forse a quelli tra i paesi aderenti al patto d’acciaio…), di sicuro non possiamo rappresentarla come un’opinione moderata.

Ma non è solo l’inquadramento storico a lasciare perplessi, anche il metodo con cui sono raccolti e presentati dati e testimonianze — che il sottotitolo del saggio suggerirebbe essere sistematico, rigoroso, quasi definitivo («I nomi, I luoghi, I testimoni, I documenti») — è invece così riassunto nella premessa (p. 2):

si è cercato di supplire alla difficoltà di penetrare negli archivi che forse contengono documenti rimasti ancora celati, utilizzando, laddove possibile, un buon numero di testimonianze di persone coinvolte nei fatti, o di loro familiari, in modo da portare al centro dell’attenzione le singole storie individuali

In pratica Rumici ai dati d’archivio predilige quello che Nicola Gallerano chiamava “approccio biografico” o, come aggiunge Gino Candreva, il “privato senza storia” funzionale alla spettacolarizzazione dei fatti di sangue, staccati dal loro contesto storico e politico per essere ricostruiti attraverso il punto di vista psicologico e affettivo, come avviene nella fiction, che è poi l’approccio di Giampaolo Pansa ma anche — per l’appunto — di Frediano Sessi. Ma Sessi almeno qualifica le proprie fonti con un nome e cognome e un abbozzo di contestualizzazione dell’interlocutore. Rumici in Infoibati nomina nei ringraziamenti una dozzina di “testimoni” (perlopiù noti esponenti dell’associazionismo esule più militante, talora controversi come Graziano Udovisi e Mafalda Codan), ma poi aggiunge (p. 4):

voglio ringraziare (…) le innumerevoli persone, specialmente in Istria, che, pur fornendomi valide testimonianze, mi hanno pregato di non essere citate

Se andiamo a vedere, nel saggio le ricostruzioni più cruente sono esposte senza fonti, i pochi nomi di testimoni interpellati sono parenti e conoscenti delle vittime che di fatto non sono stati testimoni delle violenze, i radi autori menzionati a loro volta si rifanno a un’indefinita vox populi, come Antonio Pitamitz, padre Flaminio Rocchi, Gaetano La Perna o Giorgio Rustia o anche articoli di stampa di varia qualità, lettere a giornali (un approccio caro ad autori provenienti dal neofascismo come Marco Pirina o Antonio Serena, che lo appresero a loro volta dal primo grande “controstorico” di quello schieramento: Giorgio Pisanò).

Emblematiche sono proprio le pagine dedicate a Norma Cossetto, a cui Rumici intitola un intero capitolo («Donne tra le vittime. Il dramma di Norma Cossetto» pp. 124-146), che è poi il capitolo più dovizioso di dettagli “grafici” e più parco di riscontri. Al momento della sua pubblicazione (2002), Infoibati era infatti il testo che più di ogni altro ammassava particolari inediti al “martirio” di Norma Cossetto: ad esempio il presunto stupro e le sevizie fatte durare ben 4 giorni (p. 128), oppure la tesi secondo la quale la vittima sarebbe stata costretta a percorrere nuda, con le mani legate dietro la schiena col filo spinato, la distanza di diversi chilometri che separa il luogo dello stupro dalla foiba in cui sarebbe poi stata gettata (p. 132), uniche fonti addotte: “diversi testimoni del luogo” (p. 129). La vittima non avrebbe trovato pace nemmeno da morta, il convoglio che trasportava le bare dei Cossetto sarebbe infatti stato mitragliato dai partigiani (p. 134 — il funerale si svolse in un momento in cui il controllo nazista della zona era totale, NdA). Per il resto la ricostruzione di Rumici segue la vulgata introdotta dal giornalista Antonio Pitamitz sul settimanale «Storia Illustrata» nel 1983. Quello di Pitamitz era un excursus in due puntate che a suo tempo aveva suscitato un’articolata risposta dello storico dell’Istituto per la storia del movimento di liberazione di Trieste Galliano Fogar in cui gli rinfacciava l’incapacità di svolgere «accurate verifiche sulle fonti disponibili (a cominciare dai giornali italiani dell’epoca che uscivano nella regione), di consultare una bibliografia più aggiornata, di leggere criticamente la saggistica in gran parte fortemente datata di cui si è servito, specie quella di estrazione collaborazionista e neofascista». Gli faceva eco sette anni dopo anche Roberto Spazzali, allora storico per la Lega Nazionale, il quale scriveva:

«Pitamitz non si preoccupa di verificare la reale consistenza non solo delle cifre proposte ma anche delle impressionanti descrizioni degli eccidi perpetrati in Istria: una per tutte la narrazione della morte e del rinvenimento del corpo della studentessa Norma Cossetto, suffragata in questa sede dalla più fantasiosa delle ricostruzioni, respinta e corretta anche da Paolo De Franceschi (Luigi Papo)» (Foibe. Un dibattito ancora aperto, Lega Nazionale, 1990, p. 539).

Roberto Spazzali e Raoul Pupo

Eppure quella stessa ricostruzione per cui si erano usate parole così nette, acquistò tutt’altra dignità nel testo di Rumici, pure aumentata nelle “impressionanti descrizioni”. Raoul Pupo — collega di Roberto Spazzali — in una recensione per gli annali della SISSCO del 2003 definiva il saggio Infoibati un’opera «di taglio divulgativo, ma di grande rigore storiografico» da ricordare «per l’equilibrio fra un’informazione larga e dettagliata e la chiarezza del linguaggio». E ancora:

« La ricostruzione proposta è limpida e convincente e i fatti tragici delle foibe vengono inquadrati con dovizia di riferimenti nel contesto dell’invasione italo-tedesca della Jugoslavia».

(di ben diverso tenore era stata la recensione pubblicata dalla SISSCO l’anno prima per il precedente volume di Rumici dedicato alla comunità degli italiani rimasti in Istria: Fratelli d’Istria)

Eppure la qualità della ricostruzione di Rumici rispetto a quella di Pitamitz non era migliorata, né nei contenuti né nel metodo. Probabilmente è il clima generale nell’accademia ad essersi guastato nel frattempo:

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Nicoletta Bourbaki

Nicoletta Bourbaki è un gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico in rete e sulle false notizie a tema storico, nato nel 2012 su Giap.