L’Unità e gli esuli
Un palese falso, necessario alla liturgia del Giorno del Ricordo.
Da qualche anno, con picchi di frequenza intorno al 10 febbraio, gira in rete questo meme:
Perché lo pubblichiamo timbrato come “bufala”?
Partiamo dall’inizio.
Innanzitutto il meme è esteticamente costruito per essere virale, scimmiottando un vecchio documento: sgranato, in bianco e nero, con l’intestazione d’epoca e la data. Dovrebbe essere il primo campanello d’allarme.
Le frasi che compaiono nel meme sono estrapolate dall’articolo Profughi, pubblicato su l’Unità, edizione milanese, il 30 novembre 1946 (anno XXIII, n. 284). L’autore dell’articolo è Piero Montagnani, all’epoca vicesindaco di Milano con delega all’urbanistica, alle prese con un’emergenza abitativa senza precedenti e con la ricostruzione edilizia del primo dopoguerra, tra le molte ricostruzioni post-belliche «quella più visibile, più sentita, che più polarizza l’attenzione e la speranza delle masse popolari», come scrisse lo stesso Montagnani (citato qui).
Cercando le parti citate nel meme, ci siamo imbattuti in diverse trascrizioni integrali: per esempio, era già disponibile sul sito della Lega Nazionale.
Come scriviamo nella guida didattica «Questo chi lo dice? E perché?», lo storico deve interrogare ogni singolo documento che ritiene utile consultare. In questo caso, è disponibile una fonte secondaria, ma non è difficile risalire al documento originale per un confronto. La trascrizione è disponibile qui ed è stata realizzata a partire dalla scansione dell’articolo presso la sede della Mediateca Santa Teresa.
Abbiamo avuto così la conferma che, al netto di errori di trascrizioni e scelte redazionali discutibili, il testo sul sito della Lega Nazionale è corretto.
L’articolo dice l’esatto contrario di quel che la memetica di destra vuol fargli dire. Infatti nel meme manca la frase successiva, che chiarisce chi Montagnani non considerava avente diritto d’asilo: i gerarchi e i criminali di guerra fascisti che cercavano di sfuggire alla giustizia nel caos della grande città. Il testo recita:
Oggi ancora si parla di «profughi». Altre le persone, altri i termini del dramma. Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città, non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori.
I gerarchi, i briganti neri, i seviziatori ed i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e che vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza politica e comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi. Questi relitti repubblichini, che ingorgano la vita delle città e la offendono con la loro presenza e con l’ostentata opulenza, che non vogliono tornare ai paesi d’origine perché temono d’incontrarsi con le loro vittime, siano affidati alla Polizia che ha il compito di difenderci dai criminali.
Tra i criminali di guerra fascisti, Montagnani nomina in particolare i criminali di guerra in fuga dalla Jugoslavia:
Nel novero di questi indesiderabili, debbono essere collocati anche coloro che sfuggono al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava e che si presentano qui da noi, in veste di vittime, essi che furono carnefici. Non possiamo coprire col manto della solidarietà coloro che hanno vessato e torturato, coloro che con lo […]dio e l’assassinio hanno scavato un solco profondo fra due popoli. Aiutare e proteggere costoro non significa essere solidali, bensì farci complici.
Secondo stime alleate del 1947, l’Italia ospitava allora più di 23.000 profughi jugoslavi, molti dei quali criminali di guerra cetnici e ustascia. Un fatto che era stato già denunciato sulle pagine dell’Unità in diversi articoli della prima metà del 1946 (cfr. Giorgio Cingolani, Gli slavi in Italia: collaborazionisti, criminali di guerra e anticomunisti in fuga 1945- 1950, in Storia e problemi contemporanei, 32, 2003, pp. 153-177).
Continua Montagnani:
Ma dalle città italiane ancora in discussione, non giungono a noi soltanto i criminali, che non vogliono pagare il fio dei delitti commessi, arrivano a migliaia e migliaia italiani onesti, veri fratelli nostri e la loro tragedia ci commuove e ci fa riflettere. Vittime della infame politica fascista, pagliuzze sbalestrate nel vortice dei rancori che questa ha scatenato essi sono indotti a fuggire, incalzati dal fantasma di un terrorismo che non esiste e che viene agitato per speculazione di parte.
L’articolo si conclude indicando nell’abbandono del revanscismo da parte dell’Italia la via per la composizione del conflitto italo-jugoslavo e la fine dell’esodo degli italiani dall’Istria.
La posizione di Montagnani e del Partito Comunista Italiano può ovviamente essere discussa, criticata, contestata da destra e da sinistra, ma va presa per quella che è, senza manipolazioni e tagli strategici.
Ma da dove è nata la manipolazione? L’anello di congiunzione tra l’originale e la sua versione farlocca va cercata all’interno del saggio Il lungo esodo di Raoul Pupo (Pagine: 1, 2, 3, 4).
Pupo parla di «immagine dell’esule-fascista che la stessa stampa comunista aveva contribuito a diffondere, come risulta per esempio in maniera piuttosto eloquente da un articolo pubblicato sull’“Unità” del 30 novembre 1946».
L’articolo in questione specifica, come abbiamo detto, che si parla di gerarchi, briganti neri e profittatori: Pupo taglia il pezzo in cui si parla di «relitti repubblichini» che hanno paura di farsi rivedere dove sono considerati criminali e quello in cui Montagnani specifica che costoro non possono ricevere solidarietà perché sono torturatori e assassini.
Pupo cita anche la parte in cui si parla di italiani onesti, ma di nuovo taglia il riferimento a camicie nere e collaborazionisti.
Probabilmente Pupo non ha consultato il documento originale, ma si è servito piuttosto di trascrizioni altrui. A farcelo pensare è la frase dell’articolo «Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città, non sotto la spinta del nemico incalzante…», che nella trascrizione di Pupo risulta interrotta da un punto che ne stravolge il significato: «Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante…». Nel meme e nella trascrizione presente sul sito della Lega Nazionale troviamo la medesima punteggiatura.
Soprattutto, l’interpretazione che Pupo dà del testo, non filologicamente rigorosa e molto “libera”, sembra essere influenzata da quella che ne diede l’Arena di Pola nel 1949:
Come sembrano lontani i tempi in cui l’on. Piero Montagnani, allora vice sindaco di Milano, pubblicava nella stessa “Unità” del 30 novembre 1946, un articolo di fondo intitolato “Profughi” in cui i giuliani, i dalmati, venivano accusati di essere volgari “carnefici”, “sfuggiti al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava” e di essere dei pessimi soggetti dediti ad alimentare “un artificioso irredentismo” “ed un sogno pazzesco di rivincita” (ai danni di Tito).
Da Pupo a Facebook il salto è comunque notevole. Una spinta alla viralizzazione potrebbe essere arrivata da Simone Cristicchi che, aprendo il capitolo Ma quali «fascisti»! della versione in volume del suo Magazzino 18, cita il solito brandello dell’articolo di Montagnani, banalizzandone l’interpretazione in uno scimiottamento del registro popolaresco: «Ha sentito Dottò, che scrivevano in quei giorni sulle pagine de “l’Unità”?» . Che fa tanto “buon senso” e “saggezza popolare”.
Ricostruita la vicenda di un’ennesima bufala, concludiamo facendo notare ancora una volta come l’abuso e le manipolazioni delle fonti storiche ci parlino soprattutto dell’oggi. Il meme che abbiamo smontato viene infatti usato spesso sui social network come arma-fine-di-mondo per “sbugiardare il buonismo ipocrita della sinistra, che oggi vuole accogliere i negri ma ieri sputava addosso ai fratelli di sangue italiani”. I difensori della razza su Facebook hanno ora un meme in meno da scagliare contro i negri e i loro protettori comunisti.